Dubbi e riflessioni di un Social Media Manager

Mi piace pensare che il lavoro del Social Media Manager in azienda sia simile a quello di un coltivatore di bonsai, un artigiano che cura ogni piccola essenza della pianta: qualità ai massimi livelli e un’attenzione a tratti ossessiva.

Questo approccio ha indubbiamente tanti pro che però, nel tempo, faranno scontrare il SMM con un tremendo dilemma. Provo a sintetizzarli così, dal mio punto di vista, in chiave un po’ ironica:

  • Qualità e precisione: nulla è lasciato al caso, ogni parola è scelta con amore, è perfetta e calzante. Le immagini pure, e se non trova quella giusta si attrezza per fare una foto come lui comanda.
  • Presidio: le properties che cura sono più importanti delle sue, ha tutti gli alert impostati e scattano quando arriva una mention, un DM, un commento su FB, un like. E non le disabilita mai, nemmeno di notte. Da quando albeggia a quando va a dormire non gli sfugge nulla, e se di notte si alza per fare un goccio butta un occhio alla situazione.
  • Grammar Nazi: non lascia correre un errore che sia uno; maiuscole e minuscole, virgole, indentazioni, spazi dopo le punteggiature, interlinee… tutto è perfetto, tutto è in armonia.
  • Factotum: lui sa e lui può fare tutto; meglio di chiunque altro.
  • Multidevice: li usa tutti. A volte contemporaneamente. In alcuni casi ne ha uno dedicato solamente al monitoraggio delle conversazioni e alle metriche in tempo reale.
  • Aggiornato: sa sempre quanti fan e quanti follower vantano le sue creature. Facilmente conosce a memoria chi sono i più attivi, i più simpatici, i polemici, i perditempo, gli ambasciatori e gli esaltatori.

Un’azienda che decide di aprirsi sui Social Media ha davvero bisogno a mio parere di una figura di questo calibro tra i suoi ranghi; una persona che svolga la duplice funzione di SMM e di evangelizzatore interno, che riesca a educare i suoi interlocutori a un nuovo modo di rapportarsi con il pubblico online (le persone), che sappia operare anche una importante azione di impollinazione.

E’ un professionista dotato di sensibilità,  autore di qualità e, perché no, vagamente zen e palesemente ossessivo; tuttavia i suoi pregi rischiano di diventare i suoi stessi limiti e, quindi, difetti, quando arriva il momento di fare il salto.

Il salto è quel momento in cui bisogna evolvere dalla fase di genesi (in cui occorre un forte imprinting) e, attraverso uno svezzamento, arrivare alla maturità in cui, che piaccia o meno, bisogna portare a casa i numeri.

Sì perché prima o poi qualcuno (in alto… più in alto) arriverà a chieder conto del nostro lavoro, più o meno così:

Ma alla fine, tutta ‘sta baracca qui dei social-cosi, mi fa guadagnare o no?

E qui scatta il dilemma: [box type=”info” align=”aligncenter” ]Come fare il salto producendo numeri utili al business senza che ciò vada a scapito della qualità e senza snaturare ciò che è stato creato e allevato con tanta passione?[/box] Le domande si rincorrono nella testa del povero SMM. “Eccoli qui, qualcuno deve avergli detto del ROI dei Social Media” … “Lo sapevo, ora chiameranno un consulente esterno che non ne sa nulla di questa famiglia” … “Oddio, vogliono portarmi via i miei figli!“.

Per cercare di risolvere la questione ho chiesto aiuto a uno che di social-cosi se ne intende, e pure parecchio. Rivolgo la domanda a Riccardo Scandellari (a.k.a @Skande) che di certo può dare il prezioso punto di vista di chi guarda le aziende dall’esterno ed è chiamato anche a far funzionare i cosi che di fare numeri non ne vogliono sapere.

Riccardo Scandellari aka Skande[dropcap]E'[/dropcap] il maggiore problema che incontro nel mio lavoro, identico a quello di chi è inserito nell’organigramma aziendale, riuscire a far capire all’azienda che il web marketing, non basato su campagne a pagamento, è un’opera continua e costante di creazione di conversazioni, contenuti e cura del cliente. Un’opera che difficilmente avrà riscontri a breve termine con una curva di rientro dell’investimento più lunga, che consentirà nel medio periodo di ottenere quei risultati che investendo in pubblicità a pagamento richiederebbero un investimento economico maggiore.

La differenza la fanno le persone, non è da tutti creare contenuti interessanti ed essere in grado di intrattenere relazioni sociali a buon livello.

Molti imprenditori credono che con una pagina Facebook e un po’ di pubblicità riusciranno a fare nuovi clienti. Io sono di diverso avviso e tendo ad utilizzare tutte le piattaforme sociali, in linea con le esigenze aziendali, in una strategia che porti verso la sezione news del sito sfruttandolo come fulcro della comunicazione.

Il consulente esterno all’azienda difficilmente entrerà in simbiosi con quest’ultima, non va utilizzato nelle conversazioni (che devono rimanere una funziona interna) ma nella consulenza e nel cercare di ampliarle il più possibile la visibilità aziendale.

immagine: LewyZnin

Filippo Giotto, classe 1978, appassionato di digitale e nostalgico dell'analogico, nella mia Bio di Twitter mi descrivo così: Digital Thinker, Analogical Maker. Cresciuto a Ringo e Vic20, senza pallone né merendine. Sognatore e appassionato, amante di mare, vento, vela e bicilindrici a V.

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